mercoledì 9 agosto 2017

Politica e spiritualità: il rischio di un bene sociale

La politica, impegno civile nel mondo, nonché espressione più alta della carità, con la spiritualità, cura dell’aspetto interiore del sentire umano, costituiscono quella dimensione che, incontrandosi, rischiano di fare bene sociale. Certo unire i concetti di politica e spiritualità sembrerebbe un azzardo, tanto più oggi, in cui la politica non si mostra incline ad assumere in sé il tema della spiritualità, anche se più svariati voci, associazioni cattoliche, politici navigati e dell’ultima ora, ne evocano, ma solo a parole, il bisogno. Paradossalmente, infatti, di questo dire, intendere, evocare, non si ritrova traccia nei comportamenti quotidiani, nelle sfera dell’azione politica.

Viviamo in una realtà socio-politica confusa, orfana del sentire, del tutto votata all'ottenere, senza scrupoli, priva di senso del sacro, distante dall'attenzione alla persona, al suo bene, che è l’unico fine dell’agire politico. Prende il sopravvento l'autocelebrazione, l’inetto protagonismo che lascia il tempo che trova, l’idea dell’illusione che, trascorso, l’attimo di gloria, evapora nell'inconsistenza della superficialità che non trova continuità di costrutto amministrativo. 

Scrive Tommaso d'Aquino: l'amor amicitiae è rivolto all'identità personale dell'altro, non a qualche sua bella qualità che ci procura vantaggio. L'amor concupiscientiae, di contro, è fondato sull'utile o sul piacere che viene dall'altra persona; quando da questa persona non viene più utile, o quando abbiamo trovato di meglio altrove, questo amore finisce. (S. Th. I-II, q. 26). Ecco, di amor concupscientiae si nutre la politica attuale, incapace di intendere la continuità d'opera concreta, l'approfondita ricerca di bene comune.

La storia, anche recente, ha fatto conoscere l’oppressione dell’oligarchia. Attualmente, è come se fossimo di fronte a una forma di subordinazione volontaria che travolge le nostre società democratiche, nelle quali viene chiesto di dare un libero assenso a chi comanda, così, in automatico.
Giova fermarsi a contemplare: c’è una area di mistero nell'essere umano, da coltivare con cura, come massima risorsa. Il sentire politico e spirituale, diventa così una risposta di pensiero, che supera il comando subordinato, l'amor concupiscientiae, e induce a pensare con senso compiuto, rispetto alla parzialità di concetto cui oggi assistiamo, soprattutto politicamente. E, prendendo spunto dall'idea cateriniana di riforma della Chiesa: “togliere dal ‘giardino’ i fiori fradici e maleodoranti dei cattivi ministri e piantarvi ‘fiori odoriferi’ di ministri veri e santi”, vengo, per analogia, ad affermare: “togliere dal vivaio politico le piante fradicie e maleodoranti dei cattivi politici, e piantarvi piante odorifere di politici veri e pensanti”.

Sappiamo bene che l'economia di mercato ha seminato il deserto all'interno dell'uomo, ha reciso le radici dell’anima all'interno della persona, e solo questo rappresenterebbe un grande motivo culturale di lotta per la ripresa del senso sano delle economie eque e solidali. Inoltre, le democrazie occidentali hanno raggiunto il grado di più perfette dittature del potere finanziario, tuttavia, mentre le antiche dittature venivano individuate nella figura del leader dittatore, la dittatura del potere finanziario annessa, invece, non ha una figura incarnata, una sorta di mafia senza volto, e quindi è difficilissima da essere riconosciuta come tale. Va da se che ci ritroviamo a vivere in una dittatura convinti di essere in una democrazia politica.

Vi è, pertanto, un contrasto tra i tempi esterni imposti alla vita e il tempo interno, spirituale, di cui ha bisogno invece la persona umana. E qui nasce una contraddizione fondamentale che è una contraddizione politica: coloro che comandano non sono i governi, i parlamenti, i partiti che sono figuranti precari. Chi comanda è la logica illogica di sistema, che impone un circuito di elaborazione, diffusione, ripartizione, consumo. Questo è il potere reale che ci comanda, cui siamo sudditi, un potere che non vuole che ci fermiamo a pensare, non ci concede i tempi tecnici della riflessione interiore. Urge pertanto riprendere, nel pro bonum facere, non la furia del tempo, la paura di ingolfarsi pur di arrivare a spararle più grosse, nel tentativo di superare, goffamente, la concorrenza politica con scoop allettanti, quanto ingannevoli, ma riconquistare la furia di una passione politica che abbia capacità di fagocitare il senso di una spiritualità lungimirante, che dia modo di pensare compiutamente al bene comune.


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