martedì 10 ottobre 2017

La politica non coincide con il potere



In una sorta di ascesi, che ha poco di mistico, ma tanto di catartico, la politica, orfana del dato spirituale, che nobilita la sua essenza e l’agire, si è progressivamente depressa indirizzandosi in una dimensione dove il vero e il costruttivo sono dimessi oltre che negati. Ci ricorda Hannah Arendt che “nessuno ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l’una con l’altra”. L’evidenza sociale non lascia incertezze, ma è importante anche, a volte, cercare e trovare quel quid, il senso dell’opportuno, che porti in qualche modo a essere realisti oltre che capaci di ragionevolezza.

Faccio mia l’asserzione della Arendt che sosteneva: la politica non coincide con il potere, le sue istituzioni, il suo esercizio. Piuttosto, riprendendo il pensiero di Aristotele, intende la politica come ‘condizione umana stessa’ e di questa ha le caratteristiche: nascere, dare inizio a qualcosa di originale, essere per e insieme ad altri. Unitamente a questo concetto assurge, con altrettanta potenza intellettiva, ad una determinazione della parola, considerandola dotata di valore politico: non la parola persuasiva e seduttiva dell’oratore, sofista, di fronte a una folla di insipienti e passivi; non la parola violenta o coercitiva del politico, dispotico, nel trattare i conflitti con altri stati e altri popoli; piuttosto la parola dotata di autorevolezza, vincolante per altri, pur lasciandoli liberi; parola che è più di un consiglio e mai un ordine; parola che, nell'essere pronunciata, porta a un aumento della conoscenza per chiunque l’ascolti e ne partecipi.

Viviamo in una realtà che insegue l’effimero socio-politico, sgraziato di sensibilità, mutilato di umanità, di agire. Da qui la domanda: è -oggi- cosa possibile l’agire di costrutto?

Paradossalmente, solo ciò che è effimero sembra degno di esistere. Ma il risultato è il trionfo della disarmonia, dell’assenza di equità sociale, delle difformità, degli abusi, del non senso. In assenza di altri criteri, si percepisce, inevitabile, l’affidamento a modelli che rinviano al transitorio sopravvivere politico. Accade così che il giudizio morale sia sempre più simile a un giudizio di convenienza. Sappiamo bene che, in politica, prevale l’immagine sull'argomentazione razionale, e sorge provocatorio l’interrogativo se l’influenza e il dominio dei media non si collochino oramai in una dimensione che superi ogni forma di democrazia. Lo stesso mondo del lavoro gravita completamente intorno alla propaganda, e questo significa che il valore di scambio si va sciogliendo in valore figurativo, per meglio dire nella capacità che il prodotto ha di accendere sogni, andare incontro ad attese, bisogni indotti e condivisi.

Dove conduce ciò? Il fatto è che, nell'attuale società politica, fra apparenza e realtà, fra attrattiva e verità sembra non esserci più alcun rapporto. Come illudersi allora che l’apparenza attrattiva faccia intravedere la realtà profonda dei bisogni sociali? Come illudersi e illudere stralciando fiducia umana? Svincolata dal suo rapporto con la realtà e con la verità, la politica ha aperto l’inedita prospettiva di un mondo diventato favola, sia pure favola per adulti disincantati, liberi da pregiudizi morali e metafisici. Parimenti, l’immaginata emancipazione si è rivelata un’astuzia, non già della ragione, bensì dei mercati, del capitalismo, che ha sottomesso la politica e ha esasperato lo squilibrio sociale.
Diventerà possibile l’agire di costrutto? Si sveglieranno le coscienze? E l’umanità saprà esistere?



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